venerdì 27 gennaio 2012

mercoledì 25 gennaio 2012

La benzina del Papa



Eccola qui. La super senza piombo è a 1.270 al litro. E in realtà ha subito negli ultimi mesi anche un vistoso rialzo. Certo, considerando che la media italiana è intorno ai 1.620, direi che ancora oggi conviene prendere i voti…
In realtà forse basta anche meno. Visto che a beneficiare del carburante low cost sono oltre ai 546 cittadini dello Stato Vaticano, i circa duemila dipendenti che hanno il permesso di entrare in automobile e sono forniti di un badge elettronico

martedì 24 gennaio 2012

Ballarò - Copertina di Maurizio Crozza - 24/01/2012 Satarlanda.eu

Inquinamento

“Se fossi una pecora, verrei abbattuta?” 
In libreria il manuale di monitoraggio umano
Le sostanze che si depositano nei nostri corpi possono essere misurate. Così facendo gli stessi organismi possono trasformarsi in strumenti per monitorare l'ambiente in cui viviamo. Un manuale finalmente spiega come fare
Per studiare la salute dell’ambiente in cui viviamo, quale termometro migliore del nostro stesso organismo? Le sostanze chimiche che si depositano nel nostro corpo si possono ritrovare nel sangue, nel latte, nei capelli. Infatti, molte di queste sono ‘conservate’ in varie parti del corpo, a seconda della vita che ognuno di noi conduce: dal lavoro all’alimentazione fino alle sostanze prodotte nel luogo in cui si vive. Ma cosa succede quando si tratta di sostanze nocive alla salute? Come capire da dove vengono? Liliana Cori è una ricercatrice dell’Istituto di Fisiologia Clinica del Consiglio Nazionale delle Ricerche che nel suo libro “Se fossi una pecora, verrei abbattuta?” (16 €, Scienza Express Edizioni) spiega come funziona il biomonitoraggio umano, cioè lo studio dell’inquinamento attraverso l’analisi degli esseri umani che vivono in un certo territorio.

Da dove nasce l’idea del libro (e del titolo)?
“Se fossi una pecora, verrei abbattuta?” è la domanda di una donna che stava donando il suo latte per fare le analisi. Sapeva che nella sua zona, in Campania – una delle più inquinate da rifiuti tossici seppelliti illegalmente al confine tra le provincie di Napoli e Caserta – le pecore e altri animali erano stati abbattuti, e allora aveva bisogno di capire cosa stava dando da mangiare al suo bambino: gli avrebbe fatto male o bene? E cosa stava succedendo intorno? Una domanda che mi ha fatto pensare a quanto bisogno c’è di far circolare notizie sull’ambiente, su come e perché oltre all’aria, all’acqua, al suolo, adesso si comincia a misurare gli inquinanti direttamente nel corpo.

Quali sono gli inquinanti che si accumulano nel nostro corpo?Non è facile dire cosa faccia più male, perché ci sono mille variabili in campo. Si possono cercare molti prodotti chimici (fino a 300) nel sangue delle persone, e gli effetti dipendono dalle dosi e dalla durata del contatto, quella che si chiama ‘esposizione’: ebbene, quando sappiamo che nella zona sono stati individuati composti chimici nell’ambiente, vogliamo sapere se e come le persone sono state a contatto e hanno accumulato sostanze inquinanti. Bisogna capire se ci sono gruppi della popolazione che sono più a rischio: ciò significa misurare e ripetere le analisi nel tempo. Una serie di composti che si vanno a cercare, come le diossine, il DDT, l’arsenico, il mercurio sono cancerogeni, e si sa che si fermano in diverse parti del corpo. Bisogna verificare se le persone li hanno assorbiti, quanto, e se è successo bisogna attivare una serie di controlli medici, e ripeterli nel tempo.

Dove vengono usate le persone come “termometri” della salute dell’ambiente?
Bè, sì, siamo termometri di tutto ciò che circola nel nostro ambiente. Negli Stati Uniti si fanno da molti anni ogni due anni le analisi di una gran quantità di inquinanti nel sangue di un campione molto sparso della popolazione. Si è visto molto bene il calo del piombo nelle benzine, perché appena è stato vietato ha cominciato a calare. Si è vista la diminuzione dei PCB, altri prodotti molto persistenti, del mercurio, si è visto man mano che miglioravano i filtri dei camini delle fabbriche che le quantità nelle persone analizzate diminuivano in modo impressionante.

Qual è il vantaggio rispetto ad altri tipi di analisi dell’inquinamento?
Le analisi del sangue, del latte materno, dei capelli permettono di sapere cosa è rimasto davvero nel corpo, di capire se ci sono fasce di popolazione più soggette all’inquinamento per poter da una parte prevenire l’esposizione di ulteriori persone, dall’altra per poter ridurre il rischio. Per le aree di cui ci siamo occupati, dove il pericolo viene da una serie di prodotti chimici bisogna fare due cose subito – oltre a mantenere sotto controllo le persone che si sono trovate ‘inquinate’ – bisogna bonificare, pulire dall’inquinamento e usare le migliori tecnologie per ridurre le emissioni di sostanze nocive.

Quanto dobbiamo preoccuparci?Le analisi del sangue, del latte materno sono molto inquietanti per chi le fa, quindi si parte già molto preoccupati. Ma le informazioni che si raccolgono devono servire a conoscere meglio per capire cosa si può fare, perché tutti noi ci prendiamo la responsabilità di fare qualcosa e di sapere cosa chiedere alle autorità
responsabili di prevenire e di ripulire l’inquinamento.

Cosa succede se il nostro corpo raggiunge livelli di inquinanti molto elevati?
Certo, con livelli ‘da abbattimento’ non c’è dubbio che bisogna chiedere ai medici di essere ancora controllati nel tempo, e di fare analisi varie, che dipendono dalle sostanze trovate. Bisognerà capire da dove vengono queste sostanze, e anche qui i gruppi di esperti che fanno le ricerche devono essere pronti a darsi da fare, e capire ciò che sta succedendo, e a dare consigli. L’Organizzazione Mondiale della Sanità consiglia in ogni caso alle mamme di continuare l’allattamento dei bambini al seno, anche in presenza di inquinanti. Ma certo in zone particolarmente inquinate, o in caso di incidente industriale grave o contaminazione diffusa è necessaria un’attenzione maggiore, e anche il pediatra e il medico dovranno aiutare la madre a valutare il da farsi.

I cittadini possono contribuire alla difesa dell’ambiente in questo modo?Ci sono molte cosa da fare, si possono riassumere dicendo che bisogna conoscere per contribuire a scegliere, ed è molto importante che i cittadini ragionino e agiscano nella loro collettività. Non si può fare nulla da soli, e bisogna evitare tutto ciò che ci isola o ci fa sentire diversi da tutti gli altri. Nessun problema come quelli ambientali è collettivo, e solo molti cittadini informati, che vogliano – come le pecore del mio libro – evitare di essere abbattute e pascolare in prati puliti possono chiedere con caparbietà e costanza di vivere in un ambiente più pulito, e fare la propria parte.

da "IL FATTO"

lunedì 23 gennaio 2012

Anche le carceri!



Nel decreto "liberalizzazioni" il governo Monti, all'articolo 44, ha previsto persino la privatizzazione del sistema penitenziario.
Il provvedimento si chiama Project financing per la realizzazione di infrastrutture carcerarie, ed in sintesi realizza un sogno da tempo coltivato: quello di affidare le carceri ai privati.
Non solo si permette ai privati costruire le carceri, ma si scrive nero su bianco che: “al fine di assicurare il perseguimento dell'equilibrio economico-finanziario dell'investimento, al concessionario è riconosciuta, a titolo di prezzo, una tariffa per la gestione dell'infrastruttura e per i servizi connessi, ad esclusione della custodia”.
Questo significa che la gestione carceraria, esclusa la polizia penitenziaria, è affidata a privati imprenditori. E chiaramente per fare profitto il carcere dovrà essere sempre pieno altrimenti non conviene.
Inoltre: "Il concessionario nella propria offerta deve prevedere che le fondazioni di origine bancaria contribuiscano alla realizzazione delle infrastrutture di cui al comma 1, con il finanziamento di almeno il 20 per cento del costo di investimento".
In soldoni, è fatto obbligo di far partecipare le banche alla spartizione della torta. Torta di denaro pubblico, perché è sempre lo Stato che paga. A meno che non si voglia far lavorare a gratis i detenuti, in concorrenza con le aziende, e con il compenso intascato dall'"imprenditore carcerario".
da Noncensura.com

Sulle gesta del nuovo governo


domenica 22 gennaio 2012

Cronache locali


Bologna, pass per disabili continuano a “girare” ma sono intestati a defunti
Tra Comune e Provincia del capoluogo emiliano i casi sono decine. Il pm Giovannini: "L'inchiesta è un pozzo senza fondo di piccole e grandi furberie"
Parla di un “pozzo senza fondo” il procuratore aggiunto Valter Giovannini, riferendosi all’inchiesta della procura di Bologna sui pass per disabili, che ha visto coinvolti anche alcuni giocatori del Bologna Fc. La polizia municipale, coordinata da Giovannini, sta indagando su unnuovo filone, che riguarda l’uso di pass assegnati a disabili che però sono morti.

La procura ha verificato l’esistenza di due tipologie di utilizzo irregolare. In un caso i pass sono rilasciati dal Comune di Bologna, nell’altro da comuni limitrofi o da altre città d’Italia. In tutte e due i casi, però, si parla di disabili che ormai sono morti.

La polizia municipale ha scoperto, grazie ad una segnalazione, che alla morte del parente disabile, alcuni furbetti hanno continuato ad utilizzare il pass. Esiste però un sistema informatico che permette all’anagrafe di Bologna di comunicare a Sirio, il “vigile elettronico” che controlla gli accessi dellaZona a Traffico Limitato del centro storico di Bologna, il decesso del residente e la conseguente cancellazione della targa. Ma il pass non viene restituito al Comune, e in alcuni casi viene utilizzato comunque per parcheggiare ovunque in centro, entrando però solo quando Sirio è spento. Un meccanismo possibile solo fino alla scadenza del tagliando, che dura cinque anni.

Il secondo caso scoperto dalla polizia municipale, invece, riguarda alcuni pass rilasciati da comuni adiacenti a Bologna o da altre città italiane. In questa circostanza, dopo la morte del disabile, i comuni non avrebbero comunicato l’avvenuto decesso al comune di Bologna, senza quindi permettere di inserire i dati nel cervellone di Sirio. In questo modo i furbetti, alcuni dei quali sarebbero studenti fuori sede, hanno potuto continuare ad utilizzare il pass, non solo per parcheggiare gratuitamente, ma anche per entrare in centro nella zona a traffico limitato quando Sirio è acceso.

Quest’ultimo caso riguarda circa una decina di persone, anche se gli accertamenti sono ancora all’inizio. Il comportamento sotto la lente della procura, l’utilizzo improprio del permesso, non integra però gli estremi del reato. È una violazione amministrativa prevista dal codice della strada, ma gli inquirenti sono intenzionati a verificare se c’è qualcosa di penalmente significativo.

Il procuratore aggiunto Valter Giovannini ha dichiarato che “questa inchiesta è ormai un pozzo senza fondo, di piccole e grandi furberie. La Procura non può intervenire su tutto, occorre rivedere l’intera materia e in tal senso il sindaco Virginio Merola sta mostrando sensibilità e volontà di mettere ordine”, riferendosi alla decisione di ridurre il numero di targhe da associare ai pass per disabili.

L’assessore alla Mobilità del comune di Bologna, Andrea Colombo, ha comunque precisato che “constatato il decesso, dagli uffici comunali viene spedita una lettera agli eredi, in cui si intima la materiale restituzione del contrassegno arancione. A prescindere dalla effettiva riconsegna o meno del tagliando, da quel
momento le auto eliminate sono soggette a multa da parte dei sistemi Sirio e Rita, ma anche degli ausiliari Atc per quanto riguarda la sosta, grazie ai palmari aggiornati in tempo reale”.

Mentre, in riferimento ai pass rilasciati da altri comuni, Colombo spiega che “l’amministrazione non può allo stato intervenire in modo diretto. Tuttavia, come già evidenziato nelle scorse settimane, il progetto di costituzione di una banca dati unica regionale dei permessi H, già finanziato e in corso di predisposizione, consentirà presto ai principali Comuni emiliano-romagnoli di scambiarsi informazioni aggiornate e dunque compiere accertamenti più efficaci, compreso quello relativo ai deceduti”.

L’idea quindi è quella di ridurre da dieci ad una le targhe da associare ai pass, di costituire una banca dati regionale, un protocollo di collaborazione con l’Ausl, e potenziare i controlli su strada della Polizia municipale. E conclude: “posso garantire che, anche grazie alle indagini in corso da parte della Procura di Bologna, proseguirà strenuamente e a tutto campo la battaglia della Giunta contro gli odiosi furbetti che in modo disonesto e illecito, abusando dei pass handicap, danneggiano i veri invalidi e lo stesso Comune”.

Ancora storie di donne


di Ignazio Marino

MUORE DOPO CESAREO A CROTONE. STILLICIDIO CHE DEVE FINIRE

Si tratta di uno stillicidio raggelante. La sanità calabrese è da tempo sotto osservazione della nostra Commissione anche per quanto riguarda il parto cesareo: a Reggio Calabria il 65% delle donne vengono sottoposte a parto cesareo, anche se l'Organizzazione Mondiale della Sanità sostiene che la media dei parti cesarei dovrebbe arrivare al 13,7%. Per di più l'intervento avviene generalmente in piccole strutture private accreditate, quasi sempre di mattina, in un giorno feriale. Una scelta che sembra motivata dalla possibilità di ottenere un rimborso economico per l'intervento più che dalla tutela della salute delle pazienti.
La cartella clinica acquisita dai carabinieri del Nas all'ospedale di Crotone non offre dati sufficienti. Da una prima analisi non si comprendono appieno i motivi che hanno spinto i medici a porre l'indicazione per il parto cesareo;le informazioni sono inoltre insufficienti anche a fare chiarezza sui fattori di rischio e gli eventi che hanno portato alla morte, a soli 19 anni, di Jessica Rita Spina.
La direzione sanitaria dell'ospedale si è dimostrata collaborativa, tuttavia nella documentazione clinica mancano elementi per far piena luce su quanto accaduto e individuare o escludere eventuali responsabilità del personale sanitario. La Commissione sta effettuando pertanto un ulteriore approfondimento, inviando all'ospedale alcuni quesiti per avere risposte certe al più presto.

sabato 21 gennaio 2012

Una modesta proposta per risolvere il problema del riscaldamento globale


RITI PROPIZIATORI

La danza della neve funziona, nativi americani fanno cadere i primi fiocchi in Colorado

Il rito di un capo tribu' di salva la stagione invernale


America24, 20 gennaio 2012, 12:22
Quando il meteo non aiuta ci pensano i nativi americani. Per salvare la stagione sciistica partita in salita, infatti, la popolarissima località sciiestica di Vail, in Colorado, ha chiesto a Eddie Box Jr., capo della tribu' indiana Ute, di improvvisare una danza della neve per far cadere i primi fiocchi.
“Saremmo lieti di celebrare la cultura e la storia degli indiani d'America, e magari di invogliare le prime precipitazioni", recitava l'invito ufficiale recapitato al leader indiano il 7 gennaio che gli offriva anche vitto e alloggio.
La piccola città del Centennial State, infatti, dipende dei ricavi della stagione sciistica, che finora ha registrato un calo del 15% dei turisti rispetto all'anno scorso.
Box ha accettato la sfida con entusiasmo e mercoledì mattina di buon ora, con indosso gli abiti tradizionali della sua gente, davanti ad un pubblico di circa 200 persone, ha dato il via al rito propiziatorio nella stazione sciistica di Vista Bahn Express, la stessa dove suo padre aveva danzato nel 1963. E, neanche a dirlo, giovedì meno di 24 ore dopo aver terminato il rito, con canti e balli, accompagnati da strumenti a fiato e tamburi, Vail ha visto cadere 60 centimetri di neve, compatta e bianchissima.
La località sciistica e gli indiani Ute sono legati da un rapporto di amicizia che va avanti da molti anni. Nel 1999, una delegazione della tribu' era anche stata ospite dei campionati mondiali di sci, tenutisi sulle sue piste.
“Non è solo la neve – ha commentato Box, dopo il suo rito propiziatorio - Quando l'acqua inizia a scendere dalle montagne, i fiori ed ogni piccola cosa inizia a crescere, ne traggono beneficio tutti gli essere umani”.
Visto che le preghiere, in questo caso, hanno funzionato, altri impianti sciistici hanno seguito l'esempio del resort del Colorado. Park City Mountain in Utah ha invitato 30 rappresentati della stessa tribu' per effettuare un'altra danza della neve. Stessa cosa in Sierra Nevada, la catena montuosa che si estende tra la California ed il Nevada, dove dopo un danza propiziatoria di un gruppo di nativi americani, qualche giorno fa, le previsioni meteo dicono che, finalmente, la neve sta per arrivare -in tempo per salvare ciò che rimane della stagione invernale.
“E' un rito che non può essere svolto ogni anno,perché non rispetterebbe l'idea di chiedere solo quando c'è veramente bisogno”, ha spiegato Majel Boxer, professore di cultura degli indiani d'America, al Fort Lewis College di Durango, in Colorado, mettendo in risalto l'eccezionalità dell'accaduto.
In realtà la stagione invernale, quest'anno è stata particolarmente mite un po' in tutto il Paese. Secondo le previsioni dello scorso 27 dicembre, solo il 24,3% degli Stati Uniti era ricoperto di neve, rispetto all'oltre 50% registrato nello stesso periodo nel 2010.

venerdì 20 gennaio 2012

Rivolta dei Forconi (Copertina con Beppe Grillo di Servizio Pubblico 19 ...

Un' inchiesta di "Repubblica"


IL CASO di MARIA NOVELLA DE LUCA

Assunti con le dimissioni firmate
Così ti ricatto i lavoratori

Prima arriva la promessa e poi l'inganno. Prima il contratto a tempo indeterminato e, pochi minuti dopo, la lettera di licenziamento. Si può essere "dimissionati" per decine di pretesti, ma i motivi più frequenti sono la nascita di un figlio, una malattia, l'età, i rapporti con il sindacato. Una prassi illegale che coinvolge in percentuale il 60% delle lavoratrici donne e il 40% dei lavoratori. Non riguarda solo la manodopera operaia, tessile e artigiana, ma si estende anche al personale impiegatizio di piccole e medie aziende

Accade nei cantieri, nei negozi, nei centri commerciali, nelle botteghe artigiane, nelle imprese. Tra le ricamatrici di abiti da sposa di Barletta come tra gli operai delle officine metalmeccaniche di Terni. Nelle aziende in crisi ma anche in quelle sane. Dove ci sono 10 dipendenti, ma anche 50. Al Sud e al Nord. Si chiamano "dimissioni in bianco" e  sono una delle piaghe più sommerse e invisibili del mercato del lavoro in Italia, la clausola nascosta del 15% dei contratti a tempo indeterminato, un ricatto che colpisce due milioni di dipendenti, in gran parte donne.

Ricorda Fabrizio B., meccanico specializzato di 34 anni, oggi a contratto in una grande acciaieria umbra: "Con un'unica penna ho firmato la mia assunzione e le mie dimissioni, la speranza e la condanna, sapevo che era un ricatto, sapevo che era illegale, ma avevo due figlie piccole, un mutuo, e il bisogno, disperato, di uno stipendio. Era il 2003: cinque anni dopo, quando mi sono opposto a turni di lavoro disumani, il mio principale dopo mesi di mobbing ha tirato fuori la lettera e ci ha messo la data. Sono stato cacciato, ma in realtà risultavo "dimesso". E dunque senza possibilità di oppormi, di avere né disoccupazione né altro... Ho impiegato anni per riprendermi, il mio matrimonio è fallito, ho rischiato di perdere la casa. E oggi ancora ne porto i segni".

Si annida dappertutto il fenomeno delle dimissioni in bianco,  rappresenta oltre il 10% di tutte le controversie di lavoro dei patronati Acli, il 5% delle vertenze degli uffici Cisl, spunta come una gramigna cattiva da ogni interstizio produttivo,  tra le commesse dei negozi di lusso come tra gli impiegati delle agenzie di servizi, nell'edilizia senza regole che cementifica le nuove periferie, ma anche nelle botteghe artigiane  dell'orgoglio made in Italy.

E nell'80% dei casi resta un reato impunito e taciuto. Ma che cosa è questa prassi illegale che coinvolge in percentuale il 60% delle lavoratrici donne e il 40% dei lavoratori maschi, la manodopera operaia, tessile e artigiana, ma si estende anche e con una percentuale del 25% , al personale impiegatizio di piccole e medie aziende? Come si fa a ricattare così un lavoratore, ma soprattutto una lavoratrice, (le donne spesso vengono "dimissionate" non appena tornano dalla maternità) con una distorsione delle regole tanto evidente che il ministro del Lavoro Fornero, su pressione di  diversi gruppi di donne, ha annunciato a breve un provvedimento per rendere impossibili le dimissioni in bianco?

La promessa e l'inganno "In pratica - spiega Pasquale De Dilectis, direttore provinciale del patronato Acli di Napoli  -  al momento dell'assunzione le aziende fanno firmare al lavoratore un foglio completamente in bianco, o magari una pagina già compilata ma senza una data, in cui il neo dipendente presenta le proprie dimissioni. Questa lettera viene custodita dal titolare che così può decidere, in ogni momento, di mandare via quell'operaio, quella commessa, o magari quell'impiegato, senza doverlo licenziare, e dunque scaricando se stesso da qualunque responsabilità e mettendosi al riparo da cause e contenziosi...". Perché è difficilissimo, una volta firmata una lettera autografa, dimostrare che si è stati costretti a quel gesto, e spesso patronati e sindacati non possono fare altro che "raccogliere" la storia di quell'uomo o quella donna ricattati e beffati da padroni senza scrupoli.

E si può essere "dimissionati" per decine di pretesti, ma i motivi più frequenti sono la nascita di un figlio, una malattia, l'età, i rapporti con il sindacato. O semplicemente, anzi cinicamente, raccontano ancora alle Acli,  "lo scadere dei benefici della legge 407 del 1990, che permette ai datori di lavoro che assumono a tempo indeterminato di non pagare per 3 anni i contributi al  neo-dipendente che viene coperto direttamente dall'Inps". Passati quei mille giorni la lettera salta fuori, e il lavoratore diventa carta straccia, avanti il prossimo per poter "rubare" i benefici di legge.
19 gennaio 2012

mercoledì 18 gennaio 2012

Salviamo internet!

In queste ore il Congresso americano sta discutendo una legge che gli conferirebbe il potere di censurare internet in tutto il mondo, grazie a una lista nera che potrebbe includere YouTube o  WikiLeaks. 

Secondo questa nuova legge gli Stati Uniti potrebbero costringere i fornitori di servizi internet a bloccare qualunque sito sospetto di violare il diritto d'autore o la legge sulla registrazione dei marchi. E visto che la gran parte dei fornitori di internet si trova proprio negli Stati Uniti, la loro lista nera si ripercuoterebbe sulla libertà di tutti noi di navigare in rete.

Il voto potrebbe succedere da un giorno all'altro, ma noi possiamo fermarlo: i coraggiosi membri del Congresso che si stanno battendo in difesa della libertà di espressione ci garantiscono che un appello internazionale li rafforzerebbe molto. Uno di loro, il Senatore Wyden, farà ostruzionismo leggendo i nomi dei firmatari della nostra petizione per bloccare il voto! Uniamo le nostre voci da ogni angolo del pianeta e costruiamo una petizione da record. Firmate! Questo è il link:  http://www.avaaz.org/it/save_the_internet/?fp

martedì 17 gennaio 2012

Let it snow!


Una neve piuttosto strana: è quella caduta in questi giorni in Val Padana. Non si tratta infatti di neve normale, ma neve "chimica": cristalli esagonali simili in tutto e per tutto a dei fiocchi, ma generati in realtà dalla combinazione tra i venti gelidi provenienti dalla Russia e il forte inquinamento atmosferico, presente nell'area milanese, bresciana e veronese.



«Il fenomeno è abbastanza raro ma possibile», ha dichiarato al Corriere della Sera Vincenzo Levizzani dell'Istituto di scienze dell'atmosfera e del clima del Cnr, «e viene provocato da alcune sostanze prodotte dall'inquinamento industriale, come il solfuro di rame, l'ossido di rame, gli ioduri di mercurio, di piombo o di cadmio e i silicati. Bassa temperatura e abbondante umidità sono i requisiti di base perché ciò accada».

Smog, polmoni a rischio per i bambini

«Per fortuna», ha sottolineato Levizzani, «questo tipo di nevicate non possono durare a lungo. Tuttavia è l'inequivocabile segnale di una situazione ambientale grave con livelli che richiederebbero degli interventi decisivi per porvi rimedio».

Sul naufragio della "Concordia" da" Repubblica"


L'INCHIESTA

"Il Comandante tutto il tempo al telefono"
l'ultima ipotesi: rotta suicida per una sfida

Scavalcato dai secondi: "Via all'evacuazione, decidiamo noi". L'ufficiale sceso in sala macchine: "Continuavo a urlare nell'interfono che giù era tutto allagato ma nessuno mi rispondeva". Il precedente di Marsiglia, il 7 dicembre, quando già mise a repentaglio una nave carica con una manovra spericolatadai nostri inviati CARLO BONINI e MARCO MENSURATI

GROSSETO - Il naufragio della "Concordia" restituisce altri segreti. E le parole del procuratore capo di Grosseto, Francesco Verusio, lo confermano. "Al di là della posizione del comandante, stiamo valutando le eventuali responsabilità dell'intera catena decisionale", dice. 
 
È un'affermazione volutamente anodina, ma sufficientemente chiara. Che annuncia nuovi avvisi di garanzia, almeno tre, e dissimula le domande intorno a cui ruota l'inchiesta. Chi ha assunto davvero le sciagurate decisioni della notte di venerdì 13? Il solo Francesco Schettino? Cosa è accaduto in plancia tra le 21.42 (il momento dell'impatto con il granito degli scogli del Giglio) e le 22.58, momento in cui viene registrato l'ordine di evacuazione della nave? Cosa ha saputo in quei frangenti l'armatore, la "Costa Crociere"? E che ruolo ha avuto? Perché tanto ritardo per impartire il più ovvio e ragionevole degli ordini? Perché è stato deciso un "inchino" all'isola con modalità di manovra così azzardate?

Nelle ultime ventiquattro ore, tra Grosseto, Orbetello, Porto Santo Stefano e Livorno, sono stati ascoltati dagli inquirenti una decina di testimoni chiave. L'intero quadro ufficiali della Concordia. Tra loro, Salvatore Orsini e Silvia Coronica (secondo e terzo ufficiale), gli ufficiali di coperta Martino Pellegrini, Andrea Bongiovanni, Giovanni Iaccarino e Alessandro Di Lena. E nei loro ricordi, è un nuova messe di dettagli che, messi insieme, accreditano una nuova incredibile ipotesi. Che venerdì 13, Francesco Schettino stesse in realtà conducendo una sfida. Dimostrare "ancora una volta" di che cosa era capace in mare. Del resto, lo vedremo, lo aveva già fatto. Sulla stessa nave, il 17 dicembre.

AL TELEFONO CON LA COSTA
Torniamo dunque alla notte di venerdì. E ai 60 minuti in cui si gioca il destino della "Concordia", del suo equipaggio e dei suoi 4.200 passeggeri. Cosa accade in plancia, dopo l'impatto? Racconta l'ufficiale Alessandro Di Lena: "Il comandante si è attaccato al suo telefono cellulare. Ha fatto numerose chiamate. Noi gli facevamo domande. "Comandante, che si fa?". Ma lui, niente, era sempre al telefono". Al telefono con chi? Almeno tre diversi ufficiali in plancia riferiscono un dettaglio cruciale. "Schettino chiama almeno tre volte, forse quattro, Ferrarini, con cui parla a lungo". Roberto Ferrarini è il "Marine operation director", il responsabile dell'unità di crisi e controllo della flotta "Costa".

I due parlano per prendere quali decisioni? Interpellate da Repubblica, fonti della società armatrice, spiegano: "È vero, Schettino ha contattato Ferrarini una prima volta alle 22.05 e a seguito di quella comunicazione sono state attivate le procedure di emergenza". Bene. Ferrarini ordina forse al comandante di evacuare la nave? O di allertare la Guardia Costiera? Se lo fa, perché Schettino ignora la disposizione (l'evacuazione sarà ordinata solo alle 22.58 dopo un'ulteriore insistenza della Guardia Costiera)? E se effettivamente Schettino fa di testa sua, perché, la mattina del 14, la società armatrice difende la correttezza del comportamento del suo comandante?

La "Costa" sostiene ufficialmente di "non poter violare in questa fase il segreto di indagine" e dunque di non poter dare risposte sul contenuto di quelle tre telefonate. Ma, ufficiosamente, fonti interne alla compagnia riferiscono che, effettivamente, le comunicazioni di quella notte con Schettino sono movimentate. Il comandante ammetterebbe infatti di avere "un problema grave a bordo", ma, a quanto riferiscono ancora le fonti, lo minimizzerebbe, sostenendo di potercela fare. È un fatto - e questa volta a riferirlo sono due ufficiali in plancia - che la terza e ultima delle telefonate con Ferrarini, prima di evacuare la nave, si chiude con le parole del comandante. Affranto. "La mia carriera finisce qui. Mi licenziano".

CON PALOMBO AL CELLULARE
Ferrarini non è il solo con cui Schettino passa quell'ora cruciale al telefono. C'è anche il commodoro in quiescenza Mario Terenzio Palombo, l'ufficiale che, per quattro anni, è stato il suo comandante sulla "Serena", la nave gemella della "Concordia". Il destinatario dell'inchino. Interrogato in procura, Palombo, conferma di aver parlato quella notte con Schettino. Di averlo chiamato lui, dopo essere stato avvertito dal sindaco del Giglio, che la Concordia aveva dei problemi. È così? Altre fonti investigative, spiegano che, in realtà, "si sta verificando se Schettino fosse al telefono con Palombo già al momento dell'impatto con gli scogli". In una sorta di "diretta telefonica" del suo azzardo (la procura ha chiesto di acquisire i tabulati del cellulare del comandante). È un fatto che Palombo, dopo aver parlato con Schettino contatta la Costa Crociere, come conferma la compagnia: "Effettivamente, Palombo, che è uno stimatissimo comandante, con una lunga carriera in Costa, risulta aver contattato Gianni Onorato, il direttore generale. Ma quando la società era ormai già al corrente dell'emergenza".

NEL VENTRE DELLA NAVE ALLAGATA
Dobbiamo immaginare la scena, tra le 21.42 e le 22.58. Schettino attonito in plancia e al telefono. I passeggeri con i salvagenti indossati, in attesa di ordini. Il quadro diventa drammatico nelle parole di Giovanni Iaccarino, primo ufficiale. "Alle 21.42, dopo l'impatto - riferisce a verbale - il comandante mi ordina di scendere in sala macchine. Mi precipito e lo spettacolo è terrificante. Tutto allagato. Avevo letteralmente l'acqua alla gola. Allagato il comparto motori. Allagati i generatori. Allagato i quadri di trasmissione elettrica". Iaccarino si attacca all'interfono e grida in plancia quello che vede. "Allagato comparto motori", "allagato generatore". In plancia, lo "copiano" ripetendo ad alta voce quello che ascoltano. Sono fuori uso le pompe, fermi i motori. Tutti aspettano una risposta scontata: l'evacuazione. Anche perché, sulla nave, funziona ormai una sola fonte di energia. Un piccolo "Isotta Franschini" diesel. Il "Paperino", come chiamano in gergo il generatore di emergenza sul ponte più alto della "Concordia", in grado di alimentare soltanto le luci di emergenza a bordo. Iaccarino, torna a gridare all'interfono quello che vede ogni dieci minuti. Ma non c'è risposta. Schettino è al telefono.

L'ORDINE DI SALIRE SULLE SCIALUPPE
Intorno alle 22.30, in plancia, è chiaro che attendere una risposta dal comandante è inutile. Accanto a Schettino è rimasto di fatto il solo Dimitri Christidis, ufficiale superiore greco (sarà con lui "appennellato" nella scialuppa che li porta in salvo nella notte). Altri ufficiali decidono di investire di fatto del comando della nave Roberto Bosio, il comandante in seconda, un ligure che con Schettino ha sempre avuto rapporti di profonda diffidenza e rivalità marinara. Bosio è per l'immediata evacuazione e, infatti, comincia le operazioni anche senza l'ordine ufficiale. Bosio non deve avere tutti i torti se è vero quello che riferisce ancora Di Lena: "Per i primi quaranta minuti dall'impatto, la nave è rimasta in assetto. Avremmo potuto agevolmente calare le scialuppe con i passeggeri su entrambe le murate. Saremmo arrivati tutti a terra senza neanche bagnarci i piedi".

LA FOLLIA DI MARSIGLIA
La Concordia sta affondando e per la prima volta i suoi ufficiali hanno la forza di ribellarsi al loro comandante. Non l'avevano avuta il 17 dicembre scorso quando - è l'altra sconvolgente verità che emerge dai verbali - Schettino mette a repentaglio una prima volta la nave, carica di passeggeri. Quel giorno, la Concordia è all'ancora nel porto di Marsiglia. Il vento soffia tra i 50 e i 60 nodi. Una tempesta. Racconta l'ufficiale di coperta Martino Pellegrino: "Ci radunò sulla banchina e ci informò che saremmo usciti comunque, nonostante quel vento. Ci fu un silenzio agghiacciante. Ci guardammo tra di noi, ma non avemmo la forza di parlare. Poi, ci ordinò di ispezionare i respingenti della banchina, per assicurarci che tenessero". Quel giorno, infatti, la manovra è spericolata. La "Concordia" lascia la banchina con le "macchine avanti tutta" facendo leva proprio su quei respingenti, come fossero una molla.

LA SFIDA DEL GIGLIO
Marsiglia il 17, il Giglio il 13. Sembra una cabala scaramantica. Ma forse - è l'ipotesi degli inquirenti - è una terribile "sfida marinara". Schettino vuole dimostrare a se stesso e agli altri ufficiali della Costa quello di cui è capace. La notte del 13 - come hanno ora accertato i nuovi rilievi cartografici - ordina all'ufficiale di rotta di definire la traiettoria per accostare il Giglio. Nel sistema elettronico di comando integrato - racconta ancora Pellegrino - viene immessa la rotta "278° nord-ovest" per arrivare a 0,5 miglia da terra (900 metri). Ma quando la "Concordia" vede le luci del Giglio, Schettino prende il timone. "Passiamo in manuale", ordina. "Comando io". E quell'accosto per l'inchino, diventa una roulette russa.