mercoledì 30 novembre 2011

Nuovi scioperi dei trasporti pubblici. Basta! Mi compro un' automobile!


Strano, ma vero


Soldi alle imprese senza bando di gara?
In Regione Veneto si può. In ballo 120 milioni
Le piccole e medie aziende che vogliono sviluppare progetti di ricerca industriale e di sviluppo sperimentale vanno aiutate con i soldi dei contribuenti senza gare né graduatorie. Ecco la proposta dell'assessore regionale all'Economia Maria Luisa Coppola (Pdl) che, interrogata sui metodi di valutazione, non rilascia dichiarazioni al Fatto.it

L'assessore all'Economia della Regione Veneto Maria Luisa Coppola
Un provvedimento di “ingegneria finanzia” (sic): così viene presentata la delibera regionale proposta dall’assessore all’Economia della Regione Veneto Maria Luisa Coppola (Pdl) che prevede di dare soldi alle imprese senza la pubblicazione di un bando. Modalità alquanto strana per elargire dei finanziamenti pubblici: di solito per finanziare progetti intrapresi da aziende private, la Regione pubblica un bando e valuta le proposte ricevute sulla base di parametri tecnici. In questo caso invece la Regione ha deciso che le piccole e medie aziende che vogliono sviluppare progetti di ricerca industriale e di sviluppo sperimentale vanno aiutate con i soldi dei contribuenti, senza mezzi termini. Quali saranno i metodi di valutazione? Alfattoquotidiano.it l’assessore non ha voluto spiegarlo. Così, l’unico riferimento che spieghi il motivo di questa scelta sta scritto nel comunicato stampa della Regione quando si dice “che i bandi a scadenza non sempre coincidono con la necessità del finanziamento”.

Perciò né bandi né graduatorie, ma soldi sempre disponibili allo sportello: si tratta di circa 120 milioni di euro tra fondi regionali e a rotazione che verranno concessi in base alla data di presentazione della richiesta. In particolare 110 milioni rappresentano il fondo di rotazione messo a disposizione dellaVeneto Sviluppo Spa, la società finanziaria partecipata al 51% dalla Regione e al 49% da undici gruppi bancari diversi.

Il rischio ovviamente è che venga valutato un progetto non per la sua utilità o per la sua capacità di creare occupazione reale ma che venga premiato il primo progetto consegnato in tutta fretta nella mani del funzionario pubblico di turno. Quelli che riceveranno il lascia-passare dalla Commissione valutante si aggiudicheranno da 100mila a 500mila euro con il 25% della cifra a fondo perduto e il 50% di tasso agevolato oltre al fatto, non secondario, che la stessa azienda può presentare più di un progetto fino a un massimo di 1,5 milioni di euro. La durata massima dei progetti è di 15 mesi.

E non è ancora finita: la delibera in questione prevede un 5% di fondo in più nel caso in cui questi progetti prevedano l’assunzione di un dottore di ricerca con un contratto valido per almeno un anno. Probabilmente è la prima volta che si chiede ai contribuenti di pagare quei progetti che assumono precari. In ogni caso, per capire come verranno distribuiti i fondi basta stare a vedere quali progetti futuri verranno giudicati meritevoli.

martedì 29 novembre 2011

Beatles

Sono dieci anni oggi da che se n' è andato George Harrison, il più discreto dei Beatles.

domenica 27 novembre 2011

Treni

Ancora uno sciopero dei treni, ignorato da stampa e televisione. Circolavano solo gli "Eurostar" ed ho speso un patrimonio. Uffa!

giovedì 24 novembre 2011

Succede a Varese


Lanzetta, il superchirurgo bocciato da 9 anni

Cattedra negata. I giudici in 5 verdetti: sbagliato

Marco Lanzetta (Radaelli)Marco Lanzetta (Radaelli)
Quando inventò le Loonarie collocandole nel Pacifico sud-orientale, lo scrittore Godfrey Sweven in «Riallaro, l'arcipelago degli esilii», immaginò un gruppo di isole dove trovavano rifugio i pazzi. E come spiega Anna Ferrari nel «Dizionario dei luoghi immaginari» c'erano appunto «l'Isola degli Snob, dove tutti hanno un'aria saccente» e «l'Isola del Giornalismo, dove risiedono gli affetti da grafomania» e «Satutto, l'isola i cui abitanti credono che la loro terra sia la più fertile, ricca e invidiata al mondo» e appunto «l'isola di coloro che vivono ignorando la legalità»: Paranomia.
L'avesse saputo prima, Marco Lanzetta dice che avrebbe evitato di perdere tempo con gli avvocati. Il guaio è che, pur avendo studiato, vissuto, insegnato e operato da un capo all'altro del pianeta, dal Canada alla Francia, dall'Australia all'Africa, da dove è appena tornato dopo aver passato 17 giorni di «vacanza» tentando di ricostruire le mani a decine di bambini del Togo, del Benin, del Ghana e del Burkina Faso, non immaginava che quel luogo esistesse davvero.
Tutto comincia quando il chirurgo, dopo essersi specializzato in chirurgia della mano nel New South Wales e in Quebec, aver avuto giovanissimo la direzione della Microsearch Foundation di Sydney, aver partecipato nel 1998 a Lione al primo trapianto al mondo di una mano e avere già pubblicato molti dei suoi 190 libri, capitoli di opere collettive e articoli scientifici anche sulle maggiori riviste internazionali, decide di concorrere per una cattedra di professore di ruolo di prima fascia alla «Insubria» per «malattie dell'apparato locomotore». La materia che già insegnava come «associato» alla Bicocca: «Pareva un bando studiato per me». Errore: «Era destinato ad altri».
Come ricorda l'ultimo dei verdetti giudiziari, il tormentonecomincia nell'autunno 2002. Quando, esaminati i candidati alla cattedra, la commissione giudicatrice dichiara «idonei i professori Giorgio Pilato e Paolo Tranquilli Leali e non idoneo il Prof. Lanzetta». Giusto? Sbagliato? Non ci vogliamo neppure entrare. Perché se anche Lanzetta fosse ingiustamente considerato un fenomeno nel resto del mondo ma fosse in realtà un somaro casualmente finito a fare il primo trapianto di mano al mondo e gli unici trapianti simili in Italia, il punto è quello che dicevamo: le sentenze vanno rispettate sì o no anche nelle università?
Il nodo è questo: convinto che ci fosse una sproporzione abissale fra il curriculum e la mole di lavori scientifici che aveva presentato lui (soprattutto in inglese, tra i quali due saggi su «Lancet») e quelli degli altri due concorrenti, Lanzetta fa ricorso al Tar e il Tar, sia pure con tempi biblici, nel 2006 gli dà ragione «giudicando irragionevole la valutazione negativa della commissione giudicatrice sulla particolare specializzazione del Prof. Lanzetta». I due professori premiati dall'ateneo ma non dai giudici e la «Insubria» ricorrono al Consiglio di Stato, che di nuovo dà torto a loro e ragione a Lanzetta. A quel punto cosa fa il rettore? Rinnova la «procedura di valutazione», accetta le dimissioni del presidente della commissione, lo sostituisce con un altro e conferma gli altri componenti della «giuria». La quale, un anno dopo la sconfitta in appello (che fretta ci sarà mai...) torna nel novembre 2008 a dichiarare vincitori i professori Pilato e Tranquilli Leali e a bocciare Lanzetta che ha osato contestare il loro giudizio.
La cosa è così «eccentrica» che finisce sul Corriere dove Mario Pappagallo ricorda chi è il trombato («500 interventi all'anno alla mano con il suo team dell'Istituto di chirurgia della mano di Monza, con sedi anche a Milano, Bologna e Roma»), raccoglie la sua accusa contro le selezioni nostrane («Concorsi pilotati dove già si sa chi deve vincere e si agisce per demotivare chi vuole partecipare») e scrive: «Il Lanzetta non idoneo a insegnare chirurgia della mano in Italia è una vittima illustre della demeritocrazia italiana, delle lobby delle commissioni giudicanti, del nepotismo radicato nei nostri atenei». Risultato: zero. Come a niente servono le denunce dei siti web nati contro «ateneo-poli».
Cocciuto («ormai ho chiuso con l'università italiana ma questo andazzo deve finire»), Marco Lanzetta torna a fare ricorso. E il Tar, nell'aprile 2009, torna a dargli ragione disponendo «l'annullamento degli atti impugnati». E otto mesi dopo torna a fare lo stesso, stroncando il contro-ricorso della «Insubria», anche il Consiglio di Stato. Che ordina all'università «di rinnovare la procedura di valutazione comparativa annullata e di innovare la composizione della Commissione giudicatrice» per «assicurare condizioni oggettive di imparzialità» dato che già due volte la stessa commissione non aveva rispettato ciò che la magistratura aveva stabilito.
Avete perso il conto? Lanzetta batte Insubria quattro sentenze a zero. Ma non è finita. Nel 2010 l'università rifà nuovamente la selezione: sempre promossi i soliti due, sempre bocciato Lanzetta. Il quale, mai morto, torna in tribunale per l'ennesima puntata della telenovela. Questa volta, gli si schierano contro non solo l'Insubria e i docenti promossi ma anche il ministero. E siamo alla sentenza finale. Dove la prima sezione del Tar milanese, presieduta da Francesco Mariuzzo, censura che la commissione abbia «dato positivo rilievo a una monografia del Prof. Pilato («La pseudoartrosi dello scafoide») pubblicata dopo la pubblicazione del bando di concorso». Eccepisce che di quella commissione faceva parte «il prof. Gianni Zatti che, avendo collaborato con il prof. Pilato sia in ambito universitario sia nell'attività libero professionale, sia pubblicando un'opera come coautore, sarebbe stato incompatibile alla carica». E infine scrive nero su bianco che certo, una commissione ha «ampia discrezionalità tecnica». E ovviamente «il giudice non può sostituirsi». Però «è anche incontestabile» che «egli non può esimersi dall'accertare l'eventuale erroneità dell'apprezzamento da essa condotto, ove tale erroneità sia in concreto individuabile». Per capirci, se emergono storture macroscopiche «al di fuori dell'ambito dell'opinabilità» allora il magistrato ha sì il diritto e il dovere di intervenire.
Un esempio? «La tecnica del trapianto della mano (esperienza vantata solo dal candidato Lanzetta) non appare essere stata valorizzata rispetto alle diverse esperienze degli altri candidati». Un altro? «In 13 delle 15 pubblicazioni presentate il nome del Prof. Lanzetta figura per primo» e c'è una evidente sproporzione rispetto «alla borsa di studio assegnata al candidato Giorgio Pilato dal governo giapponese».
Insomma, dice l'ultima sentenza, l'ultima selezione della Insubria «riproduce i medesimi vizi» delle altre annullate, è «in contrasto» con ciò che aveva disposto il giudice e pur eseguendo formalmente quegli ordini «tende in realtà a perseguire l'obiettivo di aggirarli sul piano sostanziale, in modo da pervenire surrettiziamente al medesimo esito già ritenuto illegittimo». Quindi l'intera procedura «deve essere annullata». Risultato finale: Lanzetta batte Insubria 5-0. In un Paese serio, davanti a un risultato così, si dimetterebbero il rettore, i commissari, i professori dichiarati vincitori, tutti. Ma questo, si capisce, in un Paese serio e non a Paranomia...

mercoledì 23 novembre 2011

Il pianista inventore che suona nelle piazze: «Mi multano? Ridicolo»



Paolo Zanarella, padovano: nei teatri era triste. Mercoledì l’ultima esibizione in barca sul Canal Grande

Paolo Zanarella a Venezia (Vision)
Paolo Zanarella a Venezia (Vision)
PADOVA — «Pensavo è bello che dove finiscono le mie dita debba in qualche modo incominciare una chitarra», cantava Fabrizio De Andrè. Alla fine delle dita di Paolo Zanarella, 43enne di Campo San Martino (Padova), che sembra essere scappato da un libro di fiabe, c'è invece un pianoforte a mezza coda Kawai 180 nero. Mercoledì Zanarella e il suo pianoforte erano sopra un barcone lungo il Canal Grande, a spandere note tra il Tronchetto e il Ponte degli Scalzi. La scena non è sfuggita ai turisti e ai passanti, che, incuriositi, hanno scattato foto e girato video (il corredo, ovviamente, è finito subito su internet). Zanarella ha improvvisato arie tradizionali e melodie antiche; poi, terminato l’insolito tour, è rientrato a casa. Senza chiedere (e prendere) un soldo. Sono due anni che quest’uomo, un misto tra il Danny Boodman T.D. Lemon di Novecento e la Giulietta Masina de La strada, che nella vita fa l’inventore («Ora sono alle prese con una macchina che fabbrica sacchetti di carta economici e resistenti », dice), si diverte a sbucare nei posti più impensabili e a suonare il suo pianoforte. Zanarella porta a spasso il suo strumento: lo monta su un furgone grazie ad un congegno meccanico da lui stesso inventato, lo scarica un po' dove gli va e poi inizia a muovere le dita sui tasti. Nelle piazze, in mezzo ai prati di montagna, nelle fiere.
«L’anno scorso a Santa Lucia di Piave ho suonato davanti agli asini e loro sembravano ascoltarmi con interesse — racconta divertito —; mentre due anni fa mi sono esibito sopra una frana a Santo Stefano di Cadore, in montagna. Per non dire di quella volta che ho suonato in mezzo al bosco da solo. Sono un pianista fuori posto, ma la gente mi segue divertita. In questi tempi bui, voglio portare in giro un po’ di speranza». Zanarella, che è un autodidatta («al contrario di una delle mie tre figlie, che studia piano al conservatorio di Castelfranco»), suona per sé stesso e per la gente. In modo apparentemente disinteressato. «Mi spinge solo la passione per il pianoforte - afferma -. Tutto è nato qualche tempo fa: trovavo triste esibirmi nei teatri semi deserti. Così ho deciso di andare io in mezzo alla gente». Negli ultimi due anni Zanarella ha suonato un po’ ovunque. «Ho girato Roma, Orvieto, Firenze e tutte le Dolomiti - spiega -. E poi, ovviamente, Padova». Nella sua città, tuttavia, il pianista ha avuto qualche problema: dopo essersi esibito nella centralissima piazza Cavour, i vigili gli hanno notificato un verbale per occupazione illegale di suolo pubblico. Ma per lui questo sembra essere un problema superato: «All’inizio la cosa mi ha fatto imbestialire - confessa -. E’ ridicolo che per strada si possa suonare una chitarra e non un pianoforte. Poi però mi è passata: per fortuna la gente mi vuole e così i vigili nonmi dicono più niente. Pensate che a Padova i residenti del centro storico mi hanno procurato un pass per entrare nella zona a traffico limitato con il mio furgone (oggi ci sarà il concerto nel Ghetto). E ora mi vogliono anche tanti Comuni e associazioni: io dico sempre di sì, ma non chiedo mai soldi. Continuerò finché avrò passione e finché la mia famiglia me lo permetterà».

Un' inchiesta di Repubblica


L'esercito degli "invisibili"
intrappolati nell'inferno Italia

Li chiamano i "dubliners", da "Dublino II", il regolamento europeo sull'asilo politico. Sono i rifugiati sbarcati in Italia e poi passati nel Nord Europa, ma che devono istruire la loro pratica nel nostro Paese. E ora quarantuno tribunali tedeschi hanno bloccato le espulsioni dei richiedenti asilo verso l'Italia sulla base di un rapporto che racconta come per queste persone da noi non ci sia alcuna "garanzia di dignità umana"

Nei primi decenni del Novecento c'erano persone che spontaneamente arrivavano a rompersi un arto, chi un braccio e chi una gamba, per evitare di essere chiamati in guerra. È passato quasi un secolo ma nella cosiddetta società dei diritti esistono ancora persone costrette a bruciarsi le dita per cancellare le impronte digitali. Queste persone sono i rifugiati politici, e alcuni di loro lo fanno per non tornare in Italia, dopo essere arrivati in Germania o nel Nord Europa.

Com'è possibile? È possibile principalmente per due ragioni: la prima è che il principale regolamento legislativo in Europa in materia di asilo politico, il Dublino II, perno fondamentale dell'intero sistema di accoglienza europeo, prevede obbligatoriamente che la richiesta d'asilo di un rifugiato politico debba essere gestita dal paese membro nel quale quel rifugiato ha registrato le impronte digitali. L'ingresso principale per gli extracomunitari in Europa è rappresentato dalle coste italiane e greche ed è qui che vengono identificati la prima volta, segnando involontariamente il loro destino. Succede che gli immigrati, quando escono dal periodo di soggiorno forzato, decidono di prendere la strada del Nord in cerca di lavoro e molti attraversano i confini per approdare in Germania e oltre. Ma una volta usciti da Italia o Grecia, eccoli scontrarsi con la Dublino II che li costringe a tornare nelle penisole di partenza.

E qui si arriva alla ragione per la quale i richiedenti asilo non vogliono fare ritorno: perché in Italia e in Grecia non ci sono “garanzie di dignità umana” per loro. Questa conclusione è contenuta in un dossier, per ora tradotto solamente in inglese, scritto da due avvocati tedeschi che difendendo la causa di alcuni rifugiati sono venuti in Italia per vedere di persona quali sono le condizioni che gli riserviamo. Un'accusa, non ancora presentata in modo formale, ma che da un lato ha già scandalizzato l'opinione pubblica tedesca e dall'altro ha spinto quarantuno tribunali (Weimar, Francoforte, Dresda, Friburgo, Colonia, Darmstadt, Hannover, Gelsenkirchen e altri) a emettere altrettante ordinanze temporanee per bloccare le espulsioni dei richiedenti asilo verso l'Italia.

È giusto a questo punto fare una distinzione importante, quella fra richiedente asilo e rifugiato politico. Il richiedente asilo è colui che richiede lo status di rifugiato: è una distinzione banale ma ancora molte persone confondono le due situazioni. In Italia, quando un immigrato ottiene lo status di rifugiato politico la sua domanda d'asilo viene gestita dallo Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati). Lo Sprar è l'istituzione nazionale che si occupa di trovare soluzioni logistiche e abitative per facilitare l'integrazione sociale dei rifugiati: vitto, alloggio e un programma di inserimento socio-lavorativo più l'assistenza linguistica, il tutto appoggiandosi agli enti locali. Lo Sprar ha tremila posti a disposizione, quindi riesce a gestire in media seimila rifugiati l'anno (sei mesi a rifugiato).

Il problema nasce proprio qui, dalla carenza di posti. Infatti le domande di asilo sono molte di più e lo Sprar mostra il limite di un sistema sovraccarico che non riesce a fronteggiare le richieste. Nel 2008 si è raggiunto l'apice di trentunomila domande d'asilo, mentre nel 2009 si è scesi a diciassettemila dopo che gli accordi tra Libia e Italia hanno dirottato gli sbarchi verso la Grecia o li hanno rispediti al mittente, in questo caso alle coste nordafricane.

Oltre la metà dei rifugiati non rientra quindi in un programma di inserimento. La maggior parte di loro viene ospitata all'interno dei cosiddetti Cara (Centri di accoglienza richiedenti asilo), dove ricevono un posto letto da lasciare libero alle otto del mattino. Quindi hanno a disposizione un posto dove passare la notte ma di giorno sono abbandonati a se stessi, e vanno in strada con l'obiettivo di sbarcare il lunario. Ma anche i Cara sono spesso saturi. Così a chi non trova posto nemmeno qui dovrebbe essere garantito un compenso per mantenersi nell'ordine di 45 euro al giorno (“dovrebbe” perché alcuni rifugiati dichiarano di non riceverlo). Il risultato è che centinaia di persone trovano riparo dove possono: alcuni dormono per strada, altri occupano edifici abbandonati senza nessun tipo di comfort (riscaldamento, acqua, eccetera).

La conseguenza è che i nuovi “inquilini” si ritrovano del tutto tagliati fuori dalla società e dalla possibilità di ottenere un riconoscimento legale. Infatti, se mai si liberassero dei posti nei programmi di inserimento, essi non risultano rintracciabili. E senza fissa dimora non possono ottenere assistenza sanitaria, inserimento nelle liste d'impiego, la patente e tutti gli altri servizi. Questi rifugiati politici diventano pressoché “invisibili”.
I richiedenti asilo possono rimanere in attesa per mesi, addirittura anche un anno, prima di ricevere una risposta - che può essere negativa – alla loro richiesta da parte della Commissione territoriale. Una volta messi alla porta dal Cie, il Centro di identificazione ed espulsione, i richiedenti sono soli, non hanno tessuto nessuna rete sociale con l'esterno dal momento che sono stati costretti a mesi di soggiorno forzato. Così alcuni fuggono cercando di  espatriare o di farsi dimenticare nelle pieghe della città, altri vengono “parcheggiati” in edifici inutilizzati in attesa di una risposta. E mentre le loro giornate trascorrono inutili, il loro soggiorno diventa una spesa pubblica. 

Non si può dare tutta la colpa all'Italia. É vero, il nostro Paese, in tema di diritti d'asilo, è stato già richiamato almeno quattro volte in due anni dalla Corte europea per i diritti umani. Ma a essere sotto accusa è l'intero sistema di gestione dei profughi e dei richiedenti asilo a livello europeo. È logico che in Europa esistano paesi con più problemi di accoglienza di altri, dal momento che sono le prime terre d'approdo per gli sbarchi. A questi paesi deve essere riconosciuta la possibilità di gestire differentemente la questione flusso migratorio. La legge Dublino II non fa altro che ripartire in modo ineguale la domanda di richieste d'asilo. Per il Cir, Consiglio italiano per rifugiati, questa convenzione dev'essere addirittura abolita “perché non risponde ai principi contenuti nella Convenzione di Ginevra ma anzi va a soddisfare interessi politici-economici nazionali”. In pratica Dublino II limita la libertà personale di queste persone. Disabili, donne partorienti, persone traumatizzate e vulnerabili: spesso capita al Cir di verificare espulsioni del genere. Gente spedita come pacchi postali dalla Gran Bretagna e da altri paesi europei.
  
Eppure alcuni di questi paesi sembrano voler invertire la tendenza. Oltre alla Germania, anche Olanda e Svezia stanno prendendo in considerazione l'eventualità di bloccare i rimpatri dei dubliners, i rifugiati di ritorno. Da non dimenticare che queste misure erano già state adottate nel 2008 da Norvegia e Finlandia nei confronti della Grecia, reputata un paese “a rischio” per i profughi.

martedì 22 novembre 2011

No comment


Nati e cresciuti in Italia
ma senza i diritti dei cittadini

La legge non prevede lo Jus soli per l'attribuzione della cittadinanza e prevede che la domanda di nazionalizzazione possa essere fatta solo al compimento del 18° anno d'età. La conseguenza sono centinaia di migliaia di ragazzi "italiani dimezzati"

ROMA - La legge Italia non prevede lo Jus soli, il diritto di cittadinanza acquisito per il semplice fatto di essere nati in Italia. La condizione giuridica dei bambini di origine straniera nati in Italia è da un lato strettamente legato alla condizione dei genitori: se i padri ottengono la cittadinanza - dopo 10 anni di residenza legale - questa si trasmette anche ai figli sulla base dello Jus sanguinis. Dall'altro, la legge prevede che i minori di orgine straniera nati in Italia possano fare richiesta di cittadinanza al compimento del 18° anno di età (ed entro il compimento del 19°) a condizione che siano in grado di dimostrare di aver vissuto ininterrottamente sul territorio italiano.

In questo quadro normativo, la condizione di questi bambini è esposta a una serie di fragilità di natura burocratica e di fatto che rendono spesso difficile l'acquisizione dei requiti previsti dalla legge. Basta, ad esempio, che un minore sia rientrato per qualche mese nel Paese dei genitori per interrompere il decorso dei termini; anche essere stati iscritti in ritardo all'anagrafe, magari per la temporanea condizione di irregolarità del genitore, fa slittare l'inizio del termine dal quale far decorrere i 18 anni minimi per poter fare domanda.

Il risultato pratico delle scelte legislative italiane in fatto di cittadinanza (legge 91 del 1992 e modifiche successive) è che centinaia di migliaia di bambini di origine straniera vivono in una sorta di limbo del diritto, essendo italiani di fatto

(per essere nati, cresciuti ed aver fatto le scuole in Italia), ma restando esclusi da tutta una serie di diritti per i quali è prevista espressamente la cittadinanza italiana.
 

lunedì 21 novembre 2011

La finanza spiegata ai gatti: una rubrica del" Manifesto" utile e chiara: ecco un esempio


  • Tutti ne parlano, aumentare l’Iva o no? Ma che cos’è l’Iva, e cosa c’entra con l’inflazione?

    spiega Francesco Piccioni

    L’Iva – imposta sul valore aggiunto – è una tassa che si paga su qualsiasi merce che entra sul mercato. Si chiama “valore aggiunto”, appunto perché si riferisce a una merce che non esisteva prima di essere immessa sul mercato. Ci sono, inoltre, delle merci che godono di un’Iva agevolata (ad esempio i libri).
    L’Iva è dunque una tassa che pagano tutti, i ricchi e i poveri. Aumentare l’Iva significa automaticamente aumentare i prezzi: se un telefonino costa 100, con l’Iva al 20% costa 120, con l’Iva al 21% costerà 121. E l’aumento dei prezzi genera inflazione (un aumento dei prezzi, infatti, genera alla lunga una diminuzione del potere di acquisto di una moneta). Dunque in una situazione di crisi, con gli stipendi bloccati, si ritiene che l’aumento anche di un solo punto dell’Iva potrebbe scoraggiare i consumi.
di cinzia 

Vorrei essere così!

sabato 19 novembre 2011

Arabia Saudita, avere il velo non basta Gli occhi seducenti diventano reato



Decisione della polizia religiosa a seguito di una rissa in una città a Nord dell'Arabia Saudita

Una donna con il velo islamico (Reuters)Una donna con il velo islamico (Reuters)
HAIL (ARABIA SAUDITA) - Non basta più l'obbligo di coprirsi i capelli con il velo nero e una veste scura e informe, lunga fino ai piedi, quando si gira in pubblico. Ora anche avere occhi seducenti per una donna araba rischia di diventare un reato che la polizia religiosa può punire, nel migliore dei casi, intimando alla persona di coprirli e nel peggiore, con decine di frustate in pubblico. La Commissione per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio, ovvero la polizia religiosa che controlla il rispetto delle norme della Sharia, la legge islamica araba, ha infatti annunciato, tramite il suo responsabile delle relazioni con i media, Sheikh Motlab al-Nabet, la stesura di una norma ad hoc. Il portavoce ha poi precisato che, in ogni caso, è un diritto dei membri della polizia religiosa intervenire immediatamente, ordinando alle donne che hanno occhi sensuali, di coprirli.
LA RISSA – Secondo quanto riportato dai media locali, la presa di posizione della polizia religiosa è avvenuta a seguito di una rissa a Hail, una città a Nord dell'Arabia Saudita. Un uomo stava passeggiando con sua moglie, quando la coppia è stata fermata da uno dei membri della polizia che ha ordinato alla donna di coprirsi immediatamente gli occhi, sostenendo di essere stato messo in tentazione dal suo sguardo sensuale. Il marito ha protestato e tra i due è nata una rissa finita a coltellate in cui è stato il marito ad avere la peggio. L'uomo è stato infatti medicato in ospedale per due ferite alla mano.
VIOLAZIONE DEI DIRITTI UMANI – La commissione, fondata nel 1940, è il braccio armato della Sharia, la legge islamica araba e da anni è accusato di violazione dei diritti umani. Nel 2002 l'episodio più grave: uno squadrone della polizia religiosa impedì a quindici di studentesse di uscire dalla loro scuola che stava andando a fuoco, perché non indossavano il velo. Può darsi che il nuovo provvedimento paventato dalla polizia contro «lo sguardo sexy» sia solo una provocazione. La notizia, riportata su siti arabi e poi egiziani e libanesi, sta già scatenando proteste e parodie. E sul web si discute: gli occhi sono un dono di Dio o di Allah. Non è presunzione il voler correggere ciò che lui ha fatto?
Giovanna Maria Fagnani

Distrutta

Abbasso le ferrovie dello stato! I treni sono sporchi, in ritardo e con metà dei vagoni senza riscaldamento.

venerdì 18 novembre 2011

Simon's Cat in 'Double Trouble'

Louis Daguerre


Alzi la mano chi sa cos’è un dagherrotipo. Uno di quei termini difficili che conoscono solo gli addetti ai lavori. Oggi Google con il suo logo dedicato (due doodle consecutivi, dopo quello dedicato allo scultore Giò Pomodoro, un vero record) al 224esimo anniversario della nascita di Louis-Jacques-Mandé Daguerre ci dà una mano a scoprire di cosa stiamo parlando.
Louis-Jacques-Mandé Daguerre è stato un artista e chimico francese, e come detto ha legato il suo nome indissolubilmente al mondo della fotografia grazie all’invenzione del dagherrotipo. Si tratta di un particolare processo fotografico.
La dagherrotipia è il primo procedimento fotografico che ha permesso lo sviluppo di immagini. Peccato che nei primi tempi avesse il limite di trattarsi di immagini non riproducibili.
Così Louis-Jacques-Mandé Daguerre descrive la sua invenzione in un fascicolo dell’epoca, chiamato, Il Daguerrotipo, addirittura del 1840. Si trata di un fascicolo all’interno del quale viene spiegato il procedimento per la realizzazione di un dagherrotipo:
Ecco le parole originali dell’epoca:
Questo processo si divide in cinque operazioni.
La prima consiste nel nettare e pulimentare la lamina e renderla propria a ricevere lo strato sensibile.
La seconda, nell’applicazione di questo strato.
La terza, a sottomettere nella camera oscura la lamina preparata a ricevere l’azione della luce affine di ricevervi l’immagine della natura.
La quarta, nel fare apparire questa immagine che non è visibile al suo uscire dalla camera oscura.
La quinta finalmente ha per iscopo di togliere lo strato sensibile che continuerebbe ad essere modificato dalla luce e tenderebbe necessariamente a distruggere interamente la prova.

Il governo ha ottenuto la fiducia. Speriamo bene...


giovedì 17 novembre 2011

Ho grandi speranze



Personalità femminili, non Pasionarie


Come ha detto Mario Monti nel presentarle ieri mattina, le tre neoministre sono «personalità femminili».
Non veline, né pasionarie. Semplicemente «personalità», cioè professioniste di tutto rispetto, classe dirigente.
Si potrebbe dire: donne di potere. Che hanno molto studiato e faticato, che hanno un curriculum eccellente nel loro settore e che la loro carriera l’hanno fortemente voluta e sudata.
Sono anche mamme e nonne, e dunque non hanno rinunciato alla propria vita personale. Per chi sostiene le «quote», un buon precedente. Ma anche per chi è contrario sono la dimostrazione che anche il mondo femminile è pieno di «personalità» e che dunque coinvolgerle è questione di volontà.
Ci sono già state diverse ministre nella storia delle Repubblica, alcune anche in ruoli importanti, molte di più in ministeri «femminili», cioè senza portafoglio e con deleghe di seconda scelta. La novità è che  in questo governo  le donne sono tutte in ruoli chiave, nessuna è di contorno.
Al ministero della Giustizia è la prima volta che arriva una ministra, Paola Severino; agli Interni prima di Anna Maria Cancellieri c’era già stata Rosa Russo Iervolino; al Welfare di Elsa Fornero debuttò la prima donna ministro d’Italia, Tina Anselmi (1976, Andreotti III), e poi fu designata anche Livia Turco (1996).
Cosa faranno lo si vedrà nei prossimi mesi. Speriamo pochi gesti simbolici e molte cose serie. Di certo, non sono lì a rappresentare e difendere solo le donne e i loro diritti (le pari opportunità tra l’altro sono state accorpate al Welfare).
Per esempio Elsa Fornero è a favore dell’innalzamento dell’età pensionabile delle donne, come chiede l’Europa. Anna Maria Cancellieri è per l’abolizione dell’8 marzo, in quanto superato. Rispetto ad altri Paesi in cui senza stupore le donne diventano presidentesse e prime ministre, il nostro resta un passo indietro. E chissà se questo governo di emergenza riuscirà a fare misure per l’occupazione femminile che ci confina nelle ultime posizioni nelle classifiche internazionali.
Ma vedere al governo donne che molto hanno studiato e faticato nella loro professione, per quella metà delle donne italiane che rinuncia al lavoro e alla carriera, può essere, intanto, un buon esempio.
Infine, Elsa Fornero, torinese, 63 anni, docente di Economia all’Università di Torino, esperta di pensioni al Lavoro, Politiche sociale e pari opportunità.
Come giudicate questa notizia? Un punto di partenza, una conquista o ancora troppo poco?